Introduzione
Anche il napoletano, come del resto quasi tutti i dialetti e le parlate locali, tende ormai da tempo ad uniformarsi alla lingua nazionale. Tale fenomeno, suscitato ed alimentato dalla scuola e dai mezzi di comunicazione, ha coinvolto masse sempre più ampie. Si è quindi imposto un napoletano "nobile", di cui neanche i più accesi tradizionalisti possono negare l'esistenza. Oggi si può dire che nel dialetto napoletano esistono tre tipi di vocaboli: i termini assimilati all'italiano (o italianizzati), perché già precedentemente abbastanza simili alla lingua nazionale, per la comune matrice quasi sempre latina; i termini disusati (o desueti), o perché molto dissimili dall'italiano e quindi incomprensibili alle masse, o perché francamente brutti (e sono avvertiti come tali i termini settoriali o gergali, i quali sono usati ancora nella loro forma più antica, oppure sono stati interamente sostituiti dai corrispondenti termini italiani, quando esistevano, senza passare per stadi intermedi); i termini che sopravvivono, sia pure in una veste alquanto italianizzata, perché talvolta più belli e significativi di quelli della lingua nazionale.
Lo stesso discorso può essere integralmente ripetuto per gli aspetti morfologici e sintattici del dialetto napoletano.
Nella pratica quotidiana, queste diverse esistenze talvolta si sovrappongono e talaltra si incrociano, mescolandosi e creando confusione. A ciò bisogna aggiungere le preesistenti incertezze ortografiche, perché la presenza frequente di false doppie e delle vocali mute ha spinto, nel passato, alcuni ad italianizzare indebitamente ed altri a cercare di intuire il probabile suono della vocale in questione: bisognava dire buttone e purucchie oppure bettone e perucchie? ragazziveniva meglio espresso con guagliuni, guagliune oppure vuagliune, dal momento che la pronuncia è assai vicina a wagliùn? Gli articoli sono o e a oppure ’o e ’a? ’no, ’nu e ’na oppure no, nu e na? Era lecito usare anche in napoletano un condizionale e un futuro che, se esistono, sono rari e francamente brutti? E le doppie, quando era giusto usarle e quando no? Lo stesso autore scriveva in maniera diversa (e non per fini artistici) la stessa parola: in Di Giacomo (ma anche nei dizionari) si trova sango e sanghe, buttone e bettone ecc.
Per questi motivi, chi voglia scrivere in napoletano si imbatte ancora oggi in problemi linguistici certamente più numerosi e gravi di quelli che deve affrontare nell'uso dell'italiano, per il quale esiste una tradizione scolastica ormai per fortuna abbastanza consolidata. L'artista infatti, per la sua necessità di esprimere pensieri e sentimenti notevoli in maniera elegante, propria e chiara, va alla ricerca dei termini più compresi e comuni, espressi con una trascrizione chiara ed univoca; soprattutto nella lirica avverte la necessità di disporre di termini eleganti e diffusi, pur non disdegnando (per raggiungere particolari intenzioni artistiche) di ricorrere a parole di maggiore effetto, che spesso trova tra i termini rari ed arcaici. Talvolta egli assume coscienza che, dove l'erudito o la lingua gli vengono meno, tocca proprio a lui, all'artista, creare ed imporre la sua lingua.
D'altro lato, anche il consumatore comune ormai parla un dialetto che è più italiano che napoletano. Addirittura si può notare in alcuni casi che l'abitudine ad escludere il dialetto anche dall'ambito familiare ha fatto sì che molti comprendono ancora il napoletano usato dagli anziani, ma non vogliono o non sanno utilizzarlo. Sembra quindi paradossalmente capovolta oggi l'antica posizione: se un tempo si pensava in dialetto e si traduceva in italiano, oggi molto spesso si conosce il termine italiano, ma non si riesce a ricordare o a ritrovare quale sia il termine dialettale; e se lo si trova, ci si imbatte tra diverse varianti, tutte problematiche: quindi è in manifesta difficoltà chi pensa in italiano e vuole esprimersi in napoletano, che è la sua lingua materna, cioè la lingua della nostalgia e dei sentimenti più intimi.
Si avverte quindi la necessità di un lavoro specifico, finalizzato al superamento delle difficoltà esistenti nell'uso del dialetto. Occorre cioè registrare il napoletano che sopravvive, evitando i termini ormai uniformatisi all'italiano, ma anche quelli non più usati: un vocabolario che non sia frutto di una ricerca erudita. Vocabolari di questo tipo sono già numerosi, anche di recente pubblicazione, e la bibliografia allegata ne indica parecchi a chi avesse necessità di consultarli. Questi però registrano tutti i termini, rivelando la confusione esistente in napoletano e qui sopra segnalata; presentano inoltre il rischio di spingere a scegliere solo i termini approvati dagli autori classici e di determinare l'affermazione di una Crusca napoletana, con il ritorno di vocaboli disusati, trascritti nella forma antica, con grave ostacolo per la comprensione dei testi. Noi abbiamo bisogno invece della lingua che c'è, non di quella che c'è stata. E' un problema di selezione e di scelta che, se è atto intelligente e personale, è anche opinabile e criticabile. Ma è un discorso che bisogna avere il coraggio di fare, se si vuole che il napoletano sopravviva, come lingua dell'uso e dell'espressione letteraria.
Concludendo
Intrapresi questo lavoro per correggere soprattutto i miei scritti dialettali, ma, nonostante qualche perplessità, che non sono riuscito a rimuovere del tutto, mi si sono maturati alcuni principi che ancora oggi mi sembrano incontrovertibili. Se li espongo qui e ne applico i risultati in questo dizionario, è perché nutro speranza che essi possano essere utili anche ad altri. Per tale via la lingua italiana diventerebbe più uniforme e sarebbe sollevata dagli arbìtri e dall’ignoranza.
Lo schedario e il repertorio, che qui si offrono, vogliono essere l'applicazione pratica delle opinioni espresse nelle pagine precedenti, che dovrebbero avere chiarito limiti e fini di questo lavoro.
Lo SCHEDARIO (quindi una semplice raccolta di schede), si concede talvolta all'erudizione, ma si è pensato che potesse essere utile offrire, in alcuni casi, la lettura del termine e l'etimologia (quando mi è riuscito di trovarla), per consentire, a chi lo consulta, di decidere autonomamente quale possa essere la trascrizione migliore. Le schede registrano anche le variazioni morfologiche: il femminile, il plurale, le espressioni tipiche e altre situazioni da tenere presente. Gli altri modi in cui il termine è stato scritto vengono comunque registrati al loro giusto posto e da essi si rimanda alla trascrizione che si ritiene più giusta. Le parole scritte in grassetto sono quelle del napoletano che sopravvive e quindi sono ancora oggi ampiamente usate; quelle scritte in corsivo sono parole disusate; le parole scritte in carattere normale sono pure e semplici italianizzazioni.
Esempi:
- pede (’ped dal lat. pes-pedis) pl. piede; = piede; pl. piede. (Si rimanda a questa voce da: père, pète, piéte, pière).
La seconda parte del lavoro è costituita dal REPERTORIO (non Dizionario, che è il titolo con cui mi piace indicare tutto il lavoro di ricerca grammaticale e lessicale che qui espongo), il quale offre una scelta di termini, non registrando volutamente le parole ormai assimilate all'italiano e quelle non più usate. Delle parole registrate, si offre in primo luogo il corrispondente termine dialettale più usato, nella trascrizione più comune o che si ritiene più esatta. Nel rendere, tuttavia, la lettura dei termini, si è rinunciato alla trascrizione fonematica a favore di un sistema più semplice:
- la vocale in grassetto indica la sillaba tonica;
- il suono indistinto viene indicato col simbolo ∈, se vocale; ∨, se consonante;
- anche in assenza di indicazione, la vocale in fine di parola, se non ha accento, è sempre muta.
Per la lettura, occorre però ricordare:
- la s che precede la t corrisponde alla s italiana (es. stanza, strummolo, storia), negli altri casi si avvicina al suono della sc italiana;
- i termini che cominciano per sc, se non corrispondono alla sc italiana, hanno il suono sc più debole (es. scimmia/scigna, fiore/sciore);
- il digramma ch ha in napoletano il suono χ greco, se in italiano ha dato luogo al gruppo pi (es. chiagnere, cchiù, chino…); ha il suono di k se in italiano ha dato luogo ad una c (es. stucchià, da stucco)[1].
Premessa al Dizionario
La grande varietà di dominazioni (e quindi le lingue), che hanno influito sul napoletano, hanno lasciato profondi segni, perciò questo dialetto presenta numerose oscillazioni, che ne hanno reso sempre assai difficile la codificazione. Gli autori, le grammatiche e i dizionari esistenti spesso si contraddicono; quasi nessuno, poi, prende in considerazione l'evoluzione di questo dialetto, che sempre più si adegua alla lingua nazionale; ne consegue che chi scrive in dialetto non possiede una lingua codificata e sicura cui fare riferimento. Ecco perché mi sono dovuto formare un mio dizionario ed una mia grammatica.
Questo dizionario registra solo le parole napoletane che ancora vivono nella parlata o nella cultura napoletana (perché legate a testi celebri o nelle tradizioni popolari ancora vive…) Di ciascun termine si dà il significato italiano corrispondente più realistico, non dilungandosi a dare i diversi significati che il termine stesso aassume in italiano e che ciascuno può verificare su qualsiasi dizionario della lingua nazionale. Nel caso che siano tuttora vive diverse lezioni della stessa parola, si fa riferimento a quella che io ritengo più corretto usare in napoletano.
Per consentire una migliore consultazione di questo lavoro, mi permetto di dare alcuni suggerimenti che mi sembrano utili:
- ad eccezione di ’o-’a-’e, la parola va restituita alla sua scrittura originaria e cercata senza l’apostrofo. Questo segno infatti indica la caduta di vocale o consonante; es.: gli articoli ’o, ’a, ’e; ’ammore, che significa l'ammore o d'ammore; ’cquista, che significa acquista, sono registrate semplicemente come ammore e acquista. Ricordare anche che nel napoletano i nomi femminili che terminano in –e (quinta declinazione latina), terminano in –a (prima declinazione latina). Tuttavia spesso vengono italianizzati: es.: pelle per pella, morte per morta, sciorte per sciorta, ecc.
- la parola che inizia con consonante doppia, va cercata quasi sempre con consonante semplice: tale raddoppio è spesso un effetto fonetico, utilmente segnalato da chi scrive, per rendere più corretta e scorrevole la lettura o per segnalare la differenza tra due parole, che diversamente sembrerebbero uguali. In particolare, raddoppiano la consonante iniziale le forme del femminile plurale (es. ’a casa, pl. ’e ccase; ’a femmena, pl. ’e ffemmene) e quelle neutre (es. ’o chiummo, ’o napulitano; ma per indicare la materia si dice: ’o cchiummo, ’o nnapulitano).
- la j va sempre cercata come i. Così anche il gruppo gh. (spesso premesso per semplice eufonia).
- le parole che iniziano per ’n e ’m, vanno cercate senza questi segni; infatti la ’n (che significa in, nel) si unisce alla parola successiva e davanti a m-p-b si trasforma in ’m.
- cercare sempre il singolare maschile oppure l’infinito presente di ogni parola; sono infatti state registrate molte particolarità, ma non tutte. Si ricordi, per esempio, che la parola che precede trasforma in u la o del m.s., mentre l’aggettivo trasforma in i la e del plurale: es. guaglionu bello - bellu guaglione; guagliune-guaglióne belle - belli guagliune-gguaglióne; il plurale in i e a, es.: quanti guagliunegguaglione; quanta guagliune-guaglione. Invece tanto e quanto hanno, come pr.pl.tantequante; come aggettivo fanno quantu-a, tantu-tanta e al plurale tanti-quanti (per il femminile anche tanta-quanta ma non si raddoppia la consonante iniziale del femminile: e tanti-quanti ffarfalle, tanta-quanta farfalle).
- quando la parola manca, ipotizzare uno scambio tra le consonanti d-t-r (e talvolta anche l) e tra le vocali; tale scambio è frequente soprattutto per la vocale muta interconsonantica (che nella lettura qui talvolta registrata viene indicata come ε), interpretata u-e oppure mutuata dall’italiano (es.perucchio, purucchio, pirucchio).
NOTA: si cerca di snellire il dizionario dando il termine napoletano che corrisponda meglio e possa con i suoi significati riprodurre meglio il temine napoletano; eventuale spiegazione va cercata nel vocabolario d’italiano.
Si rimanda sempre al termine più vivo oggi, pur registrando i termini antichi. Di questi si riportano solo quelli ancora vivi oggi, se non nella parlata, almeno nei classici.
(1): Devo però sottolineare che le revisioni successive non rispettano i propositi appena denunciati, ma ci si ripromette di ritornare ad essi in occasione di un’altra rivisitazione.↑